ADAM ZAGAJEWSKI – DALLA VITA DEGLI OGGETTI – (ADELPHI 2012), TRADUZIONE DI KRYSTYNA JAWORSKA



I profughi


Piegati da un peso
che non sempre si vede
avanzano nel fango o nella sabbia del deserto,
chini, affamati,

uomini di poche parole dai pesanti caffetani,
adatti a tutte le stagioni,
donne vecchie dai volti sciupati
che portano qualcosa, un neonato, una lampada
- un ricordo - oppure l'ultimo tozzo di pane.

Può essere la Bosnia, oggi,
la Polonia nel settembre '39, la Francia
otto mesi più tardi, la Turingia nel '45,
la Somalia, l'Afghanistan o l'Egitto.
C'è sempre un carro o almeno un carretto,
colmo di tesori (il piumino, la tazza d'argento
e il profumo di casa che presto svanisce),
un'auto senza benzina abbandonata nel fosso,
un cavallo (che sarà tradito), la neve, molta neve,
troppa neve, troppo sole, troppo pioggia,
e quel caratteristico curvarsi,
come verso un altro pianeta, migliore,
con general meno ambiziosi,
meno cannoni, meno neve, meno vento,
meno Storia (purtroppo un simile pianeta
non esiste, resta solo il curvarsi).

Trascinando i piedi,
vanno lentamente, molto lentamente,
verso il paese da nessuna parte,
verso la città nessuno,
sul fiume mai.

*

Prova a cantare il mondo mutilato

Prova a cantare il mondo mutilato.
Ricorda le lunghe giornate di giugno
e le fragole, le gocce di vino rosé.
Le ortiche che metodiche ricoprivano
le case abbandonate da chi ne fu cacciato.
Devi cantare il mondo mutilato.
Hai guardato navi e barche eleganti;
attesi da un lungo viaggio,
o soltanto da un nulla salmastro.
Hai visto i profughi andare verso il nulla,
hai sentito i carnefici cantare allegramente.
Dovresti celebrare il mondo mutilato.
Ricorda quegli attimi, quando eravate insieme
in una stanza bianca e la tenda si mosse.
Torna col pensiero al concerto, quando la musica esplose.
D’autunno raccoglievi ghiande nel parco
e le foglie volteggiavano sulle cicatrici della terra.
Canta il mondo mutilato
e la piccola penna grigia persa dal tordo,
e la luce delicata che erra, svanisce
e ritorna.

*

Io

È piccolo e invisibile come i grilli
ad agosto. Come tutti i nani ama
agghindarsi e cambiarsi. Abita tra
blocchi di granito, in mezzo a verità
utili. Riesce a stare persino sotto
un cerotto, o una benda. Non lo troveranno
i doganieri e neppure i loro superbi cani. L’io
si nasconde tra gli inni e i partiti.
Pernotta sulle Montagne Rocciose del cranio.
Eterno fuggiasco. È me, io
sono in lui nell’inquieta speranza di aver
trovato infine un amico. Ma egli
è solitario, così diffidente da non
ricevere nessuno, me compreso.

*

Kierkegaard su Hegel

Kierkegaard diceva di Hegel: ricorda qualcuno
che erige un enorme castello, ma vive
in una semplice capanna, lì nei pressi.
Così l’intelligenza abita in una modesta
stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi
che ci furono promessi sono ricoperti
di ragnatele, per ora dobbiamo accontentarci
di un’angusta cella, del canto del carcerato,
del buonumore del doganiere, del pugno del poliziotto.
Abitiamo nella nostalgia: Nei sogni si aprono
serrature e chiavistelli. Chi non ha trovato rifugio
in ciò che è vasto, cerca il piccolo. Dio è il seme
di papavero più piccolo al mondo.
Scoppia di grandezza.

*

La sconfitta


Davvero sappiamo vivere solo dopo la sconfitta,
le amicizie si fanno più profonde,
l’amore solleva attento il capo.
Perfino le cose diventano pure.
I rondoni danzano nell’aria,
a loro agio nell’abisso.
Tremano le foglie dei pioppi,
solo il vento è immoto.
Le sagome cupe dei nemici si stagliano
sullo sfondo chiaro della speranza. Cresce
il coraggio. Loro, diciamo parlando di loro, noi, di noi,
tu, di me. Il tè amaro ha il sapore
di profezie bibliche. Purché
non ci sorprenda la vittoria.

*

Là, dove il respiro

Sta sulla scena
senza alcuno strumento.
Appoggia le mani sul petto,
là dove nasce il respiro
e dove si spegne.
Non sono le mani a cantare
e nemmeno il petto.
Canta ciò che tace.






Adam Zagajewski è nato il 21 giugno 1945 a Leopoli (ora L’viv, in Ucraina), città che ha lasciato quell’anno stesso insieme alla sua famiglia, espulsa dai sovietici che se ne erano impadroniti nel 1944. Cresciuto a Gliwice, Slesia, e cioè in quei territori tedeschi che nel dopoguerra furono annessi alla Repubblica Popolare di Polonia, Z. ha studiato psicologia e filosofia all’Università Jagellonica di Cracovia, diventando ben presto uno dei protagonisti della corrente «Nowa Fala» o «Generazione del ’68», che riuniva i giovani poeti più critici nei confronti del regime. Ha pubblicato la sua prima raccolta, Komunikat, nel 1972. È stato tra i firmatari della Lettera dei 59 (1975), sottoscritta da sessantasei intellettuali polacchi per protestare contro l’introduzione nella Costituzione di paragrafi riguardanti l’alleanza con l’Unione Sovietica e il ruolo-guida del Partito Operaio Unificato Polacco. Dopo aver vissuto a lungo all’estero, prima a Berlino e poi a Parigi, è tornato a risiedere a Cracovia nel 2002. Insignito del Neustadt International Prize for Literature (2004), del Premio Heinrich Mann (2015) e del Premio Principessa delle Asturie (2017), ha insegnato per anni all’Università di Chicago. È morto il 21 marzo 2021 a Cracovia.


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