SAREBBE UN SOGNO (di Raphael d’Abdon)

Per il consigliere comunale grillino Loris Cantarutti, meglio noto nei corridoi della politica udinese come Porco Rosso, il 2013 fu un annus terribilis, l’inizio della fine.

Prima di unirsi ai pentastellati, Cantarutti aveva avuto un passato di militanza nelle due sinistre cittadine: da liceale si era formato nella corrente trotskista della gioventù rifondarola; mentre da studente universitario, dopo un travagliato processo di maturazione, era entrato nei quadri dirigenti del Piddì. Sognatore e visionario, non tardò a rimanere deluso dall’eccessivo pragmatismo dei nuovi compagni di partito e abbandonò presto anche loro per abbracciare la causa grillina. I suoi punti di riferimento culturali erano Baricco, Rifkin e Berlinguer e aveva una passione sfrenata per il cinema giapponese e le chat porno (da qui il soprannome).

Figlio di un conte delle valli del cividalese e di una professoressa di latino calabrese trasferitasi al nord dopo la laurea, Cantarutti aveva ereditato dal padre un vasto patrimonio immobiliare che gli permetteva di vivere di rendita e dalla madre la pelle olivastra e un carattere sanguigno e manesco, a causa del quale finiva per ficcarsi spesso nei casini.

Fine oratore e attivista sempre pronto a battersi in prima linea a fianco degli ultimi, Cantarutti era uno dei pasionari del movimento grillino ed era stato eletto in consiglio comunale alle elezioni del 2009 con 205 voti. Aveva 24 anni, il più giovane consigliere comunale della storia del capoluogo friulano.

L’Assessora alla Cultura della giunta presieduta dalla sindaca piddina Marta Perotti era Anna Pravisani, compagna di partito del Cantarutti, ex militante di Lotta Continua e punta di lancia del radicalchicchismo cittadino. Il suo spirito di lottatrice continua si era negli anni affievolito, ma continuava a manifestarsi in forme e linguaggi diversi dentro i palazzi e i salotti della Udine che conta. Donna di ferro all’interno del partito e del consiglio, con la strada già spianata verso una seggiola romana, l’assessora era una che in giunta faceva il bello e il cattivo tempo. Personaggio popolare sia nella Udine bene che tra la classe lavoratrice, era nemica giurata del consigliere Cantarutti. Non ne sopportava lo stile trasandato, la condotta politica irriverente e la puzza sotto il naso (pur avendo lei stessa una spocchia mica da ridere). I semi di questa discordia furono gettati durante una riunione del comitato grillino della città, durante il quale Cantarutti aveva scagliato un violento attacco contro la futura assessora, da lui definita “un’arrivista mascherata da attivista”.

Cantarutti era stato l’ultimo degli eletti, ma la sua nomina a Palazzo D’Aronco aveva suscitato scalpore sia per la sua giovane età che per il numero di voti presi alla prima candidatura. Subito dopo l’insediamento della giunta, si dichiarò deluso per il ruolo di secondo piano a lui riservato. Con un atto da lui definito “poco lungimirante e provocatorio”, la sindaca lo aveva infatti parcheggiato in un’oscura e inutile commissione per le elezioni. Deciso a scalare le gerarchie del movimento e del governo cittadino, Cantarutti decise di imbarcarsi in prima persona in un’ardita battaglia politica: la riqualificazione dell’area abbandonata dell’ex-acciaieria Safau, sita tra via Marsala e via Lumignacco. Conscio della necessità di un appoggio giuntale, cercò e trovò un’alleata nella Vicesindaca Piera Venturini.

La giunta appoggiò l’idea, ma restò nebulosa circa la destinazione concreta dell’area da riqualificare. L’assessore di riferimento per competenza era – ahilui! – Anna Pravisani, la quale aveva altre idee per la testa: donna attenta alla cultura della sua città e al portafoglio, aveva già preso contatti discreti con un’importante multinazionale tedesca della distribuzione, per destinare l’area alla costruzione di un nuovo discount. Ci furono dei primi incontri esplorativi in giunta, durante i quali queste divergenze sul futuro dell’area non tardarono a venire a galla. Alla fine di una seduta particolarmente accesa, il consigliere Cantarutti definì l’assessora Pravisani una “greppia prezzolata”.

Il campo di battaglia era spianato.

Cantarutti, fortemente critico verso l’idea “piccolo borghese” del discount, decise di contrastarla in prima persona lanciando il controprogetto SAFArt. Elaborato da uno studio di architetti di grido capeggiato da una sua ex compagna delle scuole medie, proponeva di trasformare l’ex sito industriale in un’area dedicata all’aggregazione giovanile comprendente un auditorium, una casa delle associazioni, sale prove, una sala concerti e un ostello della gioventù. Tuttavia, nei mesi a seguire, il progetto si arenò a causa dell’accertata indisponibilità di fondi per finanziarlo. Quando pareva definitivamente insabbiato, venne ripreso in mano dall’Assessora Pravisani la quale, con un colpo di mano da artista consumata, rimise ad una commissione concorsuale la decisione sulla destinazione dell’area. Ovviamente, il bando di concorso venne redatto dal suo assessorato e cucito su misura in chiave anti-Cantarutti.

L’anno successivo la commissione individuò come vincitore un progetto concorrente proveniente da un noto studio di architettura vicino all’assessora, mentre il progetto SAFArt si piazzò secondo in graduatoria. Cantarutti, furibondo davanti alle telecamere delle tivù locali, bollò il progetto vincitore come una “chiesetta nel deserto”. Le cose non si mettevano bene per il consigliere il quale però, ammanicato con le band engagée della Udine alternativa, organizzò una serie di concerti a sostegno del progetto SAFArt in tutti i quartieri della città, periferie comprese.

Nel 2013 ci furono nuove elezioni comunali e la vicesindaca Venturini riuscì a convincere Cantarutti a ricandidarsi, promettendogli che in sede di realizzazione esecutiva del progetto sarebbero stati posti i correttivi necessari per renderlo più aderente ai suoi desiderata. Il consigliere nel frattempo si era trasferito in Portogallo per cercare di finire gli studi universitari, improvvisamente interrotti qualche anno prima. Accettò la proposta, assicurando che avrebbe mantenuto il suo impegno per la consiliatura. Il risultato elettorale fu poco lusinghiero (una ventina di voti in meno rispetto alle precedenti elezioni), ma gli garantì comunque un secondo mandato. Sennonché la distanza geografica si rivelò un problema più serio del previsto.

Cantarutti saltò a piedi pari le prime cinque sedute consiliari e la stampa locale ne approfittò per scatenare una virulenta campagna contro il grillino portoghese inchiodato alla cadrega friulana. Giornali e siti lo impallinavano regolarmente e lui replicò dal suo blog dichiarando che la colpa delle ripetute assenze andava a suo dire imputata alla giunta stessa, che gli comunicava le date di convocazione del consiglio con sistematico ritardo, di fatto impedendogli di prenotare in tempo i biglietti aerei low cost per rientrare in Italia.

Cantarutti rimase formalmente dentro il gruppo grillino in consiglio comunale, ma attorno a lui ormai si era fatta terra bruciata. L’ultimo chiodo nella bara venne piantato dalla sindaca Perotti, la quale con un gelido comunicato stampa fece sapere agli organi di informazione che il progetto di riqualificazione urbana dell’area ex-Safau non sarebbe stato modificato. Pochi giorni dopo, un Cantarutti sotto choc ritornò trafelato dall’esilio lusitano per un incontro segreto (e decisivo) con la sindaca. Il vertice non produsse gli effetti sperati, ma il peggio doveva ancora arrivare: grazie a una fitta trama di accordi politico-finanziari, l’assessora Pravisani era riuscita a portare la sindaca dalla sua parte: il via libera alla costruzione del suo progetto venne deciso in una cena che si tenne nella tenuta di campagna della vicesindaca Venturini, tra uno strudel e un calice di Pinot grigio. Tutto ciò avvenne – ovviamente – all’insaputa del Cantarutti, il quale apprese la notizia per bocca della sindaca durante la seduta del consiglio comunale, che si tenne il giorno dopo il loro incontro.

I momenti che seguirono furono tragici: mentre l’aula esplodeva in applausi fragorosi e l’assessora Pravisani veniva ricoperta di complimenti, baci, abbracci e pacche sulle spalle, il consigliere Cantarutti rimase pietrificato sulla sua poltrona, incapace di proferire parola e di muovere un dito. Quando vide assessora, sindaca e vicesindaca avviarsi radiose verso l’uscita per un meritato brindisi, capì tutto. In primo luogo capì che per lui era finita. La sua giovane e promettente carriera era stata stroncata sul nascere da una vile congiura di palazzo, ordita alle sue spalle da una magnifica, spietata triade di signorotte radical chic.

Raccolte le scarse forze che gli rimanevano, Cantarutti abbandonò la sala quando tutti se ne erano già andati da un pezzo. Tradito, sconfitto e irriso dall’aula, decise di buttarla sull’alcol. Per ore si trascinò di bar in bar, di osteria in osteria, tirando giù di tutto: birre, vino, grappe e Montenegro. Quando, verso le sette di sera, passò di fronte all’osteria Toni Formadi, era nell’anticamera del coma etilico.

«Ehi, ma quello non è il consigliere low cost?»

La domanda retorica, seguita da uno scroscio di risate da parte di tutti gli avventori dell’osteria, era stata strillata da un giovane pelato sovrappeso, un militante di Forza Nuova che stava tracannando birre fuori dal locale assieme ad alcuni camerati. Accortisi della presenza del consigliere assenteista, lo avevano accolto con un fitto lancio di noccioline e monetine e commenti al veleno. A un certo punto, tra grida spagnolesche di craxiana memoria, partì un coro che faceva il verso a quello più famoso intonato trent’anni prima dagli ex-compagni di partito del Cantarutti contro il leader maximo socialista: «Vuoi anche questi? Grillino vuoi anche questi?» gridavano le teste lucide, sventagliandogli in faccia banconote da 5 euro.

Il consigliere Cantarutti faceva fatica a reggersi in piedi, ma la doppia, cocente umiliazione e soprattutto l’accostamento al leader politico che odiava di più al mondo, risvegliò il suo spirito guerresco. Come un animale ferito si scagliò contro i fasci e ne seguì una gazzarra nella quale, ça va sans dire, ebbe la peggio.

Nonostante una coriacea resistenza, alla fine della colluttazione si ritrovò con uno zigomo e due costole rotte, una severa concussione alla testa e due mesi di prognosi. Rimasto per terra, era stato soccorso dai camerieri dell’osteria, mentre i ragazzi di Forza Nuova ordinavano un altro giro di birre.

Sotto quella gragnuola di pugni, anfibiate e cinghiate, Cantarutti aveva pensato alla scena di Carlito’s Way nella quale Carlito colpisce Benny Blanco facendolo cadere dalle scale: «Hai sbagliato, Loris. Hai sbagliato. Ma sono i riflessi di un tempo che tornano a galla. Lo so come vanno queste cose…»

L’episodio ebbe ampia risonanza sulla stampa locale e anche su qualche testata nazionale: Toni Formadi come l’Hotel Raphael. Lancio di monetine e violento attacco squadrista contro il consigliere Cantarutti, titolava il giorno dopo il più importante quotidiano piddino cittadino, lo stesso che aveva sputtanato il consigliere per mesi, ironizzando sulla storia dei voli low cost.

«Adesso gavemo anche noi el nostro Craxi. Ma va in mona» era stato il commento di Aldo Masotti, storico calzolaio di via Vittorio Veneto, dopo aver letto l’articolo e aver tirato giù il primo merlot della giornata.

Il linciaggio davanti a Toni Formadi segnò la fine dell’esperienza politica del giovane consigliere grillino Loris Cantarutti, il quale il giorno dopo, dal letto di ospedale, si dimise. Il consiglio accettò le dimissioni all’unanimità e alla fine della votazione partì un convinto giro di applausi. L’anno dopo l’assessora Pravisani fu eletta Senatrice della Repubblica come capolista grillina nella circoscrizione Nord-Est. Due anni dopo la vicesindaca Venturini venne eletta eurodeputata.

Dell’ex-consigliere Cantarutti non si seppe più nulla.

Intervistato recentemente da una webtv locale, un suo parente ha dichiarato che Loris Cantarutti sta bene e vive ancora in Portogallo. Alla domanda su un ipotetico ritorno in Italia dell’ex-cucciolo grillino, ha risposto: «Sarebbe un sogno.»


Raphael d’Abdon è nato a Udine e dal 2008 risiede a Pretoria, in Sudafrica. Ricercatore, poeta e traduttore, è autore di quattro raccolte di poesie. Le sue poesie, i suoi racconti, articoli e saggi sono pubblicati in vari paesi, tra i quali Russia, India, Regno Unito, Austria, Stati Uniti, Australia, Singapore e Malawi.


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